30.11.16

Liquidizia

Parte II

Un ritmo stralunato cambia parti a tempi alterni, su e giù per la pianura sotto il mare che inibito lascia spazio a questa melma. Una forza circolare muove intorno, una forma di giustizia, forca della pigrizia, corregge ogni scorreggio e intanto gira, gira gira e torna indietro sola arma che vi resta per ovviare alla tristezza.

Soltanto adesso s’intuisce quel torrente sgorgato fra le pelci a solcare il nord europa, ora al trotto ora galoppa. Non ha sella ne capezza ma viaggia e cerca su ogni pietra, esplora e dissoda la terra, rivanga i tempi andati e li ricopre. La cosa migliore sarebbe quella di esser puri, ma senza alcun antidoto, senza occhiali scuri dimenticarsi il magone e la sua fisionomia. Davanti a stecche d’autoscatti sorridenti, attrazioni turistiche e estasi mistiche, paradisi sintetici e sguardi mimetici è da notare la mania di mostrare la propria patologia, risucchiando ogni energia, trasformando questa vita in una coda per l'infermeria.
  
Ritorna al movimento, guarda come scorre ogni figura, passa e fila via velocemente, rincorre il proprio ego che esoplode in forme oscene, rincorre l’evidenza del senso comune che in sostanza ad esser stronzi in compagnia si sta più bene. Omogeneizzato il significato ogni anima viaggia nel suo proprio tracciato che a notar bene la forma di ognuno ritorna alla mente quel ritmo inconcludente che viaggia a cerchi e porta sempre allo stesso posto fetente

Prendi quel movimento, riavvolgilo, fammi contento, un nastro in cemento, pesante e prepotente, se riuscissi a farlo lento sarebbe sorprendente ma basta che sia okay, che sia decente, fammelo vedere come torna, voglio proprio vedere com’è che funziona.   

Ricordo il suono dei tacchi sul pavimento, superfice brillante che sa di formalina, le vecchie ed i tendoni padrone del campo, quell’odore del mangime e il silos del foraggio,  e mix di nicotina nei polmoni come  le prime evasioni ai soliti sermoni.

Le uniche energie che volevo non erano allergie, non c’erano nè scie nè mostri o altre teorie, la teoria degli affetti era una corsa per saltare muretti a secco, recinzioni per il bestiame allevato allo stato brado. E le mandrie di esaltati ogni giorno invadevano i terreni, cavallette fameliche intuivano la strada che portava a corti e frutti, di ogni scena e qualità. Nessuna privazione solo infiniti spazi aperti, neanche un limite se non la cena.

Nessuna privazione solo infiniti spazi aperti, neanche un limite se non la fine. Queste mandrie inebriate dal momento, quanti voli hanno spiccato fino ad ora, e molte sere ancora verranno a partorire quella voglia di gustare tale goduria. Mille teste sparse al sole, mille teste e un cuore solo, zia Reghe sul ciglio a contarle, sugli alberi e nei cantieri, trampolini per saltare sulla sabbia che riempiva le tasche ma mai ha ricoperto le teste al posto delle scarpe.

Un Vuoto risonante se ti scorgi, narcisistico richiamo del più vivo dei ricordi, la lista di persone a cui hai sfiancato i nervi. Riempirebbero le grotte sopra il monte, dalla casa del bambino fino alla torre, passando per i lecci e queste brecce sottoterra, ridipinte nei pensieri, inaccessibili sentieri invisibili a questi occhi. 
Come il margine di spesa giornaliero, per il deficit delle finanze, e la scarsità di azioni, quella fata si è fatta pietra ed ha finito il suo lamento. Brucerà millenni e più, piangendo il suo strumento, l’ho vista, sta ostruendo ogni passaggio per il centro, a mezzanotte, ha dato fuoco a tutto e se ne fotte, ridendo mi ha detto: “è solo tutto ciò che sta esplodendo dentro!”


Neanche ad una strega interessa il lamento di un codardo, non le importa e muta ascolta, trasforma le paure facendo uno stendardo, lo fa per passione e lo mostra a gran ragione, una paura trasformata in situazione lascia solo il mal’umore di non averla scavalcata. Timido ostacolo, orgoglio dell’impossibile, impianto frenante di ogni spinta scatenante, una soffice prigione di salmi e di bestemmie, irrazionale forma di febbre virale, essenziale orizzonte oltre il quale puntare. Oltre il senso del giudizio, oltre il gergo dei talk shows, dare forma al precipizio, abituarsi a quello spazio non sarà che un esercizio, non c’è cielo propizio. 

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