30.12.16

Pentothal

Una medicina additiva 
una cura senza antidoto
Una voce silenziosa
urla di soppiatto
mentendo orgogliosamente 
Io




"Coviamo la primavera

Mentre il cielo trascolora

Sirio riappare in basso
La luna

E tutta la città s’apparecchia

Per la lunga notte

I rumori catturati in spesse nuvole di smog

Un tappeto di brace luminosa



Io vivo sulla lama,

mi commuovono i bassifondi,

parlo con i ricercati dello stato,

brigo,

mi procuro e dilapido milioni,

poi rischio, 
mi struggo,

mi umilio,

poi mi arrendo,

mi arrendo,

poi mi faccio e tutto torna bello,

più splendente di prima,

l’alternativa è la birreria, il lavoro, il risparmio, il normale sfaldarsi del corpo, il simpatico, l’antipatica, lo scemo naturale, due più due fa quattro, la sveglia alle otto,due palle anche li peggio di qua!

Ma vuoi mettere risorgere??

Risorgere!

Risorgere!

Risorgere!"

Pentothal

25.12.16

Periodo ipotetico, una canzone incerta.

Dimmi cosa c’è da fare
Dimmi cosa c’è da dire
Non cedere all’errore
Non cedere al terrore!

Come se potessi andare, andare e scavalcare il mare
Come se potessi dire tutto quello che ho da dire
Come queste gocce sulla fronte
Come questi occhi all’ orizzonte

Dimmi cosa c’è da avere
Dimmi cosa c’è da bere
Non cedere al umore
Non cedere al umore!

Come se potessi andare, andare ad asciugare il mare
Come se potessi dire non ho nulla da portare
Come queste gocce sulla fronte
Come questi occhi all’ orizzonte

Come me
Come se riuscissi a fare
Quello che non riesco a fare
Come se riuscissi a fare
Quello che non riesco a fare
Come se riuscissi
Come se potessi
Come se potessi fare quello che non riesco a fare 

Come me

17.12.16

Amarcord

Viva il giudizio, quello fatto a fette
Viva il giudizio, è matto chi lo mette
Come l’uccello nel caffellatte
non s’ammollisce e patisce il calore
non s’ammollisce e patisce il calore
e quella vecchia  brucia sul carro
su quella  fiamma  che cambia colore

su quella  fiamma  che cambia colore
con questo fuoco vecchietta mia
il gelo e l’inverno ti porti via
con questo fuoco vecchietta mia
il gelo e l’inverno ti porti via
viva il giudizio, quello del prete

viva il supplizio che vi scorderete

11.12.16

Breed

Let all the magic move around
Let everyone forget your name
Blow away the facts under the carpet
Everybody around is doing the same
Everybody around is doing the same
That kind of fame to bleed away
Bury all the words and confession
Cure all the wounds and infections
Everybody around is doing the same
Everybody around is doing the same
Everybody around is doing the same
Just don’t forget your name
Must you forsake every conception?
Or just forget, you’ll be forgotten
Your name, your strain, your pain
Please don’t forget your name

9.12.16

Orma

Amus a bider tando cal est custu bellu riu
L’amus a intendere caminende che  prepotente
Cun sos brazzos andende e su muccu falende
Non d’ada mai idu che i custu martiriu
Non podet sighire cun custu deliriu

Lo vedremo allora qual’è il nostro sentiero, 
difficile capire qual’è quello vero fra i milioni di passaggi 
noteremo i vostri passi fra molti altri, 
vedendo passare ogni secondo stretto fra ingranaggi.
Avere memoria serve tanto, 
la fortuna smonta ogni esercizio, 
è fittizia non conta, 
è come un fresco inizio che secondo il corso della storia si ripete, 
ma senza pregiudizio, 
vedrete, porterà  avanti lo stesso supplizio.
Non pensare al canto neanche fosse l’unica cosa rimasta per la conta, 
mai dare senso al manto è li perchè altrimenti saresti sotto a un ponte, 
questioni di scelta, questioni e finzioni, 
fra mille ragioni la cosa importante è il controllo delle emozioni.
Proseguire dritti attraverso i soffitti e le finestre 
scavalcare ogni muro e ogni interesse, 
pensando sempre e solamente a quello che resta, 
malgrado sia il niente a fargli la festa.

Ogni emozione che può essere espressa, 
pressa la testa ad ogni scommessa. 
Confessa ogni atto ipocrita ed ogni pensiero sincero, 
aprire la porta di ogni sentiero, se lo vuoi davvero, 
non è un gran mistero. 

5.12.16

Illudimi ancora

Hai preso le mie miserie che son diventate armi,  le hai usate contro per spararmi, alle spalle, squarciarmi le arterie così per dissanguarmi. Non potresti generare insulti, hai venduto il tuo valore giocando con l’onore che neanche se poi svolti potrai più riguadagnare.

La forza di ogni ma a seguire fa scaturire tutto, imperfezioni o incongruenze, hanno l’odore di sentenze, licenze, anche quando solo compiacenze. È certo ho guardato dall’alto e ho pisciato spesso l’asfalto, mi dava piacere notare di avere a che fare col poco che riuscivi a dare, mi dava piacere notare di avere a che fare con stupidi giochi da ignorare.

1.12.16

Rigurgito


Si dice che la  notte si fa la storia, fra scatole e robot io non ho memoria.
Mi muovo rimbalzando, sobbalzo cado e mi rialzo ma continuo a camminare scalzo,non sopporto la paura del ridicolo ma ostinato ballo con l’odioso pericolo.
Mantenendo faccia scura e occhi chiusi, ballo sopra i cocci che mi son caduti  

Provando ad essere più chiari, toccando terra sentir tutt’altra cosa,
seguendo l’aria ipnotica che sa come chiamarsi, lascio i miei occhi sparsi.
Esercizio poetico o prosa, o solo masturbarsi a due mani come cosa più ambiziosa
come il terreno che cede alle mani si sgretola geloso,  un coniglio
che cerca il suo giaciglio nello stomaco del mostro, urlando a tutto il mondo di averlo superato bevendo inchiostro e nonostante tutto non esserne corroso.  

La Mona Lisa, la penicillina e la bomba atomica in un tripudio di ricette
per non aver le scarpe strette, per aver lo sguardo fisso, attento al compromesso
d’amore o storico è lo stesso, ma stando ben attento a contenere le manie

che esplodono nel cielo, come tutte le teorie poi scompaiono nel cesso.

Reflusso

30.11.16

Liquidizia

Parte II

Un ritmo stralunato cambia parti a tempi alterni, su e giù per la pianura sotto il mare che inibito lascia spazio a questa melma. Una forza circolare muove intorno, una forma di giustizia, forca della pigrizia, corregge ogni scorreggio e intanto gira, gira gira e torna indietro sola arma che vi resta per ovviare alla tristezza.

Soltanto adesso s’intuisce quel torrente sgorgato fra le pelci a solcare il nord europa, ora al trotto ora galoppa. Non ha sella ne capezza ma viaggia e cerca su ogni pietra, esplora e dissoda la terra, rivanga i tempi andati e li ricopre. La cosa migliore sarebbe quella di esser puri, ma senza alcun antidoto, senza occhiali scuri dimenticarsi il magone e la sua fisionomia. Davanti a stecche d’autoscatti sorridenti, attrazioni turistiche e estasi mistiche, paradisi sintetici e sguardi mimetici è da notare la mania di mostrare la propria patologia, risucchiando ogni energia, trasformando questa vita in una coda per l'infermeria.
  
Ritorna al movimento, guarda come scorre ogni figura, passa e fila via velocemente, rincorre il proprio ego che esoplode in forme oscene, rincorre l’evidenza del senso comune che in sostanza ad esser stronzi in compagnia si sta più bene. Omogeneizzato il significato ogni anima viaggia nel suo proprio tracciato che a notar bene la forma di ognuno ritorna alla mente quel ritmo inconcludente che viaggia a cerchi e porta sempre allo stesso posto fetente

Prendi quel movimento, riavvolgilo, fammi contento, un nastro in cemento, pesante e prepotente, se riuscissi a farlo lento sarebbe sorprendente ma basta che sia okay, che sia decente, fammelo vedere come torna, voglio proprio vedere com’è che funziona.   

Ricordo il suono dei tacchi sul pavimento, superfice brillante che sa di formalina, le vecchie ed i tendoni padrone del campo, quell’odore del mangime e il silos del foraggio,  e mix di nicotina nei polmoni come  le prime evasioni ai soliti sermoni.

Le uniche energie che volevo non erano allergie, non c’erano nè scie nè mostri o altre teorie, la teoria degli affetti era una corsa per saltare muretti a secco, recinzioni per il bestiame allevato allo stato brado. E le mandrie di esaltati ogni giorno invadevano i terreni, cavallette fameliche intuivano la strada che portava a corti e frutti, di ogni scena e qualità. Nessuna privazione solo infiniti spazi aperti, neanche un limite se non la cena.

Nessuna privazione solo infiniti spazi aperti, neanche un limite se non la fine. Queste mandrie inebriate dal momento, quanti voli hanno spiccato fino ad ora, e molte sere ancora verranno a partorire quella voglia di gustare tale goduria. Mille teste sparse al sole, mille teste e un cuore solo, zia Reghe sul ciglio a contarle, sugli alberi e nei cantieri, trampolini per saltare sulla sabbia che riempiva le tasche ma mai ha ricoperto le teste al posto delle scarpe.

Un Vuoto risonante se ti scorgi, narcisistico richiamo del più vivo dei ricordi, la lista di persone a cui hai sfiancato i nervi. Riempirebbero le grotte sopra il monte, dalla casa del bambino fino alla torre, passando per i lecci e queste brecce sottoterra, ridipinte nei pensieri, inaccessibili sentieri invisibili a questi occhi. 
Come il margine di spesa giornaliero, per il deficit delle finanze, e la scarsità di azioni, quella fata si è fatta pietra ed ha finito il suo lamento. Brucerà millenni e più, piangendo il suo strumento, l’ho vista, sta ostruendo ogni passaggio per il centro, a mezzanotte, ha dato fuoco a tutto e se ne fotte, ridendo mi ha detto: “è solo tutto ciò che sta esplodendo dentro!”


Neanche ad una strega interessa il lamento di un codardo, non le importa e muta ascolta, trasforma le paure facendo uno stendardo, lo fa per passione e lo mostra a gran ragione, una paura trasformata in situazione lascia solo il mal’umore di non averla scavalcata. Timido ostacolo, orgoglio dell’impossibile, impianto frenante di ogni spinta scatenante, una soffice prigione di salmi e di bestemmie, irrazionale forma di febbre virale, essenziale orizzonte oltre il quale puntare. Oltre il senso del giudizio, oltre il gergo dei talk shows, dare forma al precipizio, abituarsi a quello spazio non sarà che un esercizio, non c’è cielo propizio. 

27.11.16

Yuppie

Ho un grande sole a scaldarmi
Ho aria pulita a benedirmi
Ho chilometri per potermi abbandonare
E se non bastasse ho anche il mare
Quella brezza e dolcezza mi accarezza
I suoi raggi son sogni e miraggi
Arrivano a frotte come equipaggi
Unica certezza e lento smarrimento
Sentendo mille ore in un momento
Questa energia potente disarmante tira via
Mi piace accarezzarla sentirla accumularla
Il calore sulla pelle che mi parla
E luce a darmi forza e caricarla
Tenerla trasformarla consumarla
Poterla contenere nel piacere
E fa male rinunciarci nelle sere
La sua é ombra gigante
Se il caldo é devastante
La sua é voce potente
Se il silenzioé piú di niente
La sua é voce assoluta
Ed ogni bocca resta muta
Rotonda soffice e profonda

Sfonda affonda circonda

25.11.16

Liquidizia

Parte I

Fiumi di volti scorrono fluidi di fronte agli occhi, cambiano forma rumorosamente ma ordinati ed in fila. Il colore si bilancia con trame discontinue ma cangianti, scivolano fra il chiaro e lo scuro senza mai definirsi nettamente. Guardali evolversi nei viottoli e negli stradoni, perdono consistenza e la recuperano, impetuosamente scrosciano all’impatto con i muri, arcaiche prigioni per il pensiero civilmente riconosciuto. 

Celle e braccia organizzate per tenerti libero a fluttuare in questo mare, dentro un mondo divenuto altare, ipocrita specchietto di ogni news al cellulare. Civiltà. Quell’ammasso di letame dentro al quale poi cerchiamo stabilità, effimera speranza l’illogica tendenza a veder quel che non e’ dove non c’e’! come fai a vedere libero quest’animale in gabbia. Come fai a non sentire il sole se sei in mezzo alla spiaggia?

Vivi nel bel mezzo della notte , è li che sta la fregatura, affannato alla ricerca non senti che paura. Cosi’ fra schemi e tabelle d’analisi, fra corsi e classi di yoga l’invisibile e’ palpabile, sublimazione materiale, proietta immagini, speranze, attriti.Stampa libri e testi sacri con l’intento di dar forma al liquido che scorre, magari fermarlo per le folle.

E ancora scorre, scorre a tutte le ore, insensibile non fa altro che sbraitare, si sente arrivare ovunque, magari non arriva o forse sta già qui, il suono rimbomba dapperttutto e le urla che primeggiano bestemmiano, senza la voglia, ma si capisce, come cosa autogena inietta piacere, liberazione.

Nel fondo si sghignazza, son gli spiritati, la parte superficiale incurante del male. Ride a crepapelle vedendosi in aria fra le stelle. Tra due bestemmie, due spari e  gli sputi, chi si sente deriso e chi si autocommisera, chi ride e chi si impegna, chi vende tenerezza a questo fiume di amarezza e chi spara sulla folla ogni volta  sorride e poi a molla crolla. La massa liquida procede a scaglioni e risale strisciando a terra gli scarponi, immortalata da fotografie che mostrano l’esterno, brillano conservando immobile il segno di quel momento. Ci parlano di volti, di smorfie e lingue viscide, ma il tedio che brucia non possono descriverlo mentre le luci a grandine non fanno che strillare rubano il contrasto giusto a quegli autoscatti di dubbio gusto.

Osservane il riflesso da vicino, non cercare l’esterno, notane la forma ed i contorni, non conta il colore, ne la dimensione, cerca soltanto la luce dell’azione. Residui di nervi segnano il percorso, la strada maestra, coordinate anche per gestire la mano destra. Passo dopo passo si avanza verso il nuovo, si ricerca il compromesso per ottenere il permesso, si ricerca quel punto d’incontro che possa dare inizio al fresco, all’inatteso, impensato, insospettato, che puntualmente s’allontana lasciando indietro il popolo perplesso, raggirato. Son volti seri quelli intorno, viottoli e stradine, intrecci, scappatoie e ferri corti .  

Si ricerca l’assonanza per ogni stanza, la stessa composizione crea una forma di vibrazione che suonata con costanza può generare risonanza e collegarci alla vera forma di sostanza. Una primizia, quella forza che ti addrizza e molto spesso ti indirizza, erotica coscienza, interna attrazione , è un eterna dannazione l’intesa di un’amicizia. Quindi alzare dighe in barba ai fiumi. Canalizzare ogni affluente. Indirizzare bene il corso degli eventi, valutare debiti e compensi calcolando quanto basta il fiato che ci vuole per spazzare via ogni scompenso, calcolare quanto basta il fiato che ci vuole a chiaccherare lasciando indietro tutto il resto. Limare ogni minima imperfezione o differenza, sterilizzare  tutto. 

Continua e sfugge nei castelli buttati giù da una versione un po più veritiera, castelli alzati fra sillogismi automatici, autogenerati, sospetti o solo aspetti che rimandano ad eventi e ritornano indietro minacciando guerra. E sopra i ruderi neri e desolati resta soltanto la leggenda, dentro ai ricordi di quelle rovine un tempio di religioni sconosciute e terre abbandonate. 

Non esiste dignità, non ricordo somiglianza, ogni faccia  ogni pensiero non raccontava il vero, sembrava come fosse un eterno ripetersi e raccortarsi di menzogne, fanfaronate, eventi inventati, gesti sopravvalutati, che alterano il reale non attingono al normale dando su quella patina teatrale, anormale, un azione forzata a provarla reale. 

Protagonisti e comparse godono al pensiero di entrare in corsa e magari a suon di trombe per la lotta e le mazzate dei cantastorie e falsi eroi che si esibiran per noi a mostrar l’ardore di questo fiume d’odio. Odio e amore fra le fila ma attenendoci all’odore non resta alcun decoro, non si sente quel profumo di sana dignità dove un semplice gesto non è altro che se stesso, niente di complesso. 

Molto spesso alla visione di questi accadimenti non possiamo che essere contenti di non aver certi scompensi, ma alle volte, al contrario, si hanno troppi sentimenti di crear fraintendimenti anche se cambiandone gli addendi il risultato resta uguale, paradossale.  

Poi ritorna a vampate quell’odore, quel rancore, conservato per millenni, crolla per momenti e risorge lentamente attraendoti dal ventre, quella lunga consuetudine e pratica di cose ricorrenti e familiari, raccontate da ricordi nebulosi di sventure, non sinistre traversie, solo umane peripezie, naturalmente finite seguendo il corso stomacoso degli eventi. 

Piove acqua sporca e insudicia le strade, infetta il flusso poliedrico, s’insinua a piccole goccie, e defluisce in una voce, che tremola e tentenna. Una voce roca e stanca che se riscaldata appena torna ad essere ridente, ma quando il sibilo sobrio sovrasta il silenzio s’accascia sotto la pioggia e maschera il suo mento.







24.11.16

Genera




Non e’il punto d’attesa, Né il tempo che scorre
Non penso neanche il motto che canticchio risalendo
Ma so della bellezza che c’é alla fonte
Quel vento caldo e il suo orizzonte
Quell’istante che imprime il soggetto nella foto
Quella forma che appare dopo il vuoto
Si dilata descrivendo il panorama
Una miccia che consuma lentamente
Scalandone la forma
Colorando i suoi contorni

22.11.16

Sgommate chimiche di un mondo gonfio e stitico

Un uomo bruno in francia puzza di medio oriente, e tutto il mondo sa perché è importante, come londra e bruxelles sopra aleppo e kobane, importante, relativo in questo posto preso da ossessivo parteggiare, importante e’ il cuore delle ragazze kurde sopra le montagne, essenziale come la forza di regire agli attacchi degli eventi, schiacciati dal cielo, piombano giù e cancellano le facce di chi e’ restato a casa a godersi la miseria.

Uomini ominidi e lupi persi nel disordine, vendono spinelli, assistiamo a veri e propri cabaret, per tutti i tipi di palati, da terre piatte e terremoti comandati, temporali e cieli disegnati, siam discesi dagli alieni e adesso son tornati, quante trame e che avvincenti, tristi nel buoi di schermi brillanti, danno fuoco a questa merda spumeggiante. Gloriose lotte da tastiera, infuocate, decretano la spunta sulla lista della spesa,  telecomandi universali cercano segni di rivolta sul palinsesto, ma cosa cazzo abbiamo fatto per ridurla a tutto questo?

L’uomo in bianco, un visionario, dall’universale al particolare, bipolare, sfoggia la passione, di cristo sissignore, per niente intellettuale,io lo odio, dov’è la pietà? come puo’ tanta speranza portar disperazione? Mentre gli ormoni gonfiano i frutti della terra, le bocche sazie da miscugli chimicoplastici pregano lo spirituale universale magnanimo e potente che tutto puo’e nenache a volte sente, non siate così drastici! È pena quel che sento non quella luce che cantate ad alta voce, con quelle mani giunte, è evidente che abbaglia, è vero che incatena la mente, che in questo freddo non risponde e va in cancrena.

Uomini ombra esplodono ovunque, sotto casa o alla stazione, ci inseguono pure in furgone,scrivono ingnari il più brutale dei copioni,quella fiction di un pianeta che ha perso la ragione. Abbaglia e Ribolle la crosta e le placche inesorabili ci spostano, verremo inondati da ghiaccio e tritolo, esploderemo in mille schizzi, ripulirà i sentieri e tutti i vostri averi, non resterà più nulla e tutto sarà com’era ieri, pulito e vero come nei più alti dei pensieri!

21.11.16

Elogio all'inutilità

Un giorno come un altro
Ho visto un unico distruggersi
Restava solo cenere
Non aveva  filtro
Sezionarsi in tanti pezzi, disgregarsi
Fuori tempo per bloccarsi
Frammenti di rapporti a frantumarsi

Aveva forma aveva il suono
E l’apparenza era reale
Potesse essere eterna
Sarei volato a sconfinare
Sorpassando tempo e spazio
A meta’ fra cielo e terra
Nessun modo di attraccare
A sputare e rimangiare
A meta’ fra terra e mare
Fluttuare o Asciugare
Son  tre ore non entrare!
Vuoi morire?
Ma vuoi mettere?
Saltare e rimanere.
Tra la nebbia dei consigli e le lame dei commenti
Suona dolce come un canto, un disco per tanti
Rinforza quella rabbia sbottonando tutti i denti.
Commenti  fossili ,gruppi di immagini
Attimi sbiaditi e cancellati a mani nude
Raccolti ad asciugare su stendini
Ad asciugare dall’inchiostro che prude
E quella voce che non stride
Esclude ogni forma di tormento
Sintetizzando il pensiero di tanti,

Sentimenti o colpi di vento.

20.11.16

Contrattempo


Ho tolto il saluto al tempo che passa 
mi ha morso i genitali e ora urla
Scorre inesorabile e a chiamarlo non si volta,
Come coprifuoco dopo la rappresaglia, 
è da coprire bene la sua fiamma,
Bisogna farlo in tempo, 
tenendolo all’oscuro lentamente morirà
Estrai il suo contenuto, distruggilo all’istante,non merita  il saluto.
Estrai il suo contenuto, distruggilo all’istante,non merita  il saluto.
Non lo saluto più cristoiddio 
continua a starmi stretto ogni minuto che passa
Non fosse per se stesso 
il peso del futuro ci crollerebbe addosso
Armatura o dannazione 
questo amaro calice di fretta e frustrazione
Non lo voglio più vedere ne sentire 
quel tic tac che ride

Per me può stare sveglio 
può anche morire.